Guarda cosa faccio (La zona fantasma, 30 novembre 2014)

Non sapendo la situazione, avrebbe impressionato meno la fotografia che illustrava l’inchiesta di Guillermo Altares su questo giornale (El País, ndt): una marmaglia di soggetti davanti alla Gioconda, nel museo del Louvre. La baraonda è tale che si fa fatica ad individuarli e a contarli, però credo che siano una trentina (di più non ne captava l’obbiettivo, però di sicuro ce n’erano altri), dei quali solo tre si può assicurare che stiano guardando – cercando di guardare – per meglio dire, il piccolo quadro. Guardandolo davvero. Il resto si sta dedicando a fargli stupide foto con i loro stupidi telefoni. Sarebbe stata possibile un’immagine ancor più da brividi o deprimente, che era ciò che raccontava l’inchiesta: quella di una ciurmaglia equivalente che dava le spalle al famoso ritratto per farsi un selfie in cui si vedesse ogni visitante con la pittura nel fondo, come ornamento. Le ultime volte che sono stato in quella sala, due anni fa, il panorama era desolante, però non così tanto. La gente si ammassava davanti alla Gioconda – non ricordo se allora si permetteva che si fotografasse -, mentre sdegnava uno o due altri quadri di Leonardo da Vinci che si trovavano proprio lì, per non parlare delle meraviglie di altri maestri distribuite nel museo. Però almeno la folla non dava le spalle all’oggetto di venerazione superficiale; cioè il “capolavoro” non era diventato un mero scenario, una mera decorazione di quello che realmente importava: sé stessi.

È innegabile che una delle cause di istupidimento del mondo sia la pubblicità: che l’umanità da decadi le sia soggiogata – e a un suo continuo bombardamento – ha portato le sue conseguenze. Molta gente vuole essere sempre più come la gente finta (e cretina) della maggior parte degli spot televisivi, e questi hanno popolarizzato due slogan particolarmente nefasti: “Io c’ero”, e “Questo è un evento storico e irripetibile”. Si considera “evento storico” qualunque stupidata; dall’entrata di una canzonettista in carcere fino alla prima volta che Messi è entrato in campo con i colori della senyera (1). E sì, chiaro, se tutto è “storico ed irripetibile”, lo è anche questo momento banale in cui io scrivo questo articolo, però a chi mai importa una simile insignificanza. Ad ogni individuo che si vanti di “essere stato lì”, sia “lì” il Camp Nou con Messi vestito da bandiera o la caduta del Muro di Berlino nel suo momento, bisognerebbe rispondere con meritata crudeltà: “E allora? Ha avuto Lei qualche influenza? Si sente migliore per aver fatto parte di una massa? Non sa che per televisione milioni di persone hanno visto lo stesso e potrebbero affermare di essere stati lì anche loro, anche se non fosse certo, e raccontarlo probabilmente con maggior dettaglio?” Suppongo che per combattere quest’ultima domanda esistano i selfies: “ecco qui la prova, mi vedete con la Gioconda come ornamento, o con l’Adamo di Michelangelo e il suo dito”. Però chiaro, risulta che la Cappella Sistina riceve attualmente 22.000 turisti diari, e non ci sono mai meno di 2.000 persone lì congregate, una permanente folla. Che cosa importa che Lei sia lì, senza guardare gli affreschi, se la sua presunta “unicità” la condividono migliaia di persone al giorno?

Tutto è strano e contraddittorio oggigiorno. Troppa gente ingenua si è convinta che ciò che carica nei social network (Facebook, Twitter o altri) lo contemplerà tutto il mondo, quando la cosa certa è che passerà inosservata come le sessioni di diapositive a cui un tempo si sottoponevano quattro amici quando i nostri genitori tornavano da un viaggio, o come i commenti che si facevano in bar con i compari abituali. La gente è troppo occupata a caricare le loro foto e lanciando i loro tweet per disturbarsi a vedere o leggere quelli degli altri. Il motto del nostro tempo dovrebbe essere “Ognuno ha le sue manie”, e l’unica mania – e quella di tutti – è la propria persona. “Guarda cosa sto per mangiare”, e mandano foto di un piatto. “Guarda dove sono”, e mandano quella di una discarica o di una porta o della spaventosa statua gigante di una rana nel Paseo de Recoletos (ho già parlato di questo affronto). “Guarda con chi sono”, e lanciano quella di un presentatore o un imitatore in cui si sono imbattuti per strada, “Guarda cosa sto vedendo”, e lì vanno i loro selfies davanti alla Gioconda, proclamando che la possono vedere, ma certamente non guardare.

Tutto questo ricorda i bambini piccoli che hanno bisogno della costante attenzione della madre o del padre. “Mamma, guarda cosa faccio”; “Guarda papà, adesso senza mani”. Il bambino ha bisogno di testimoni per assicurarsi che effettivamente è nel mondo ed esiste (non si è ancora abituato alla novità, e ha bisogno di incessante conferma: è vero che non sono una figurazione, dato che faccio cose e le vedete?). Questa insicurezza iniziale passava, e abbastanza presto. Adesso si ha l’impressione che non passi mai, che le persone richiedano spettatori e specchi di tutte le loro attività, persino delle più volgari. Un altro sintomo del crescente e infinito infantilismo del mondo. Uno si chiede a volte se rimangano molti individui capaci di godere di qualcosa senza essere contemplati nel godimento. Di una passeggiata, di un paesaggio, di un capolavoro pittorico che non sia banalmente celebre, di un edificio o di un angolo in cui uno fissi la vista per conto proprio, senza che una pagina web o una guida glielo abbiano segnalato. Se rimane qualcosa di autonomo e che si apprezzi per ciò che è, e non come ornamento del nostro insaziabile narcisismo.

(1) Bandiera ufficiale della Catalogna, a strisce rosse e gialle

© Javier Marías

http://javiermariasblog.wordpress.com/2014/11/30/la-zona-fantasma-30-de-noviembre-de-2014-mira-lo-que-hago/

Traduzione di Andrea Rusca

Lascia un commento